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giovedì 5 aprile 2012

Afghanistan, slightly in focus

dall’intervista di Fabio Lepore su FUTURA – Il giornale on-line del Master in giornalismo di Torino

Dalle cattedre del Poli alle strade polverose dell’Afghanistan. Con la macchina fotografica al collo. Ogni situazione è buona per ottenere lo scatto giusto: quello del reporter a caccia di immagini, nonostante siano lontani i tempi di Robert Capa, è ancora oggi un mestiere che non conosce confini. E richiede passione. La stessa che ha portato il torinese Alberto Alpozzi, classe 1979, a decidere di trascorrere l’ultimo Natale con i soldati italiani in missione a Herat, Ovest dell’Afghanistan.

Perché un’esperienza di questo tipo?
Quello che mi piace della fotografia è il fatto di poter ritrarre situazioni particolari, non comuni. Andare oltre, spingermi oltre a quello che chiunque può vedere. D’altronde, se ci pensi, oggi con le macchine digitali più o meno tutto è alla portata di tutti. Quindi il modo in cui un fotografo può differenziare la qualità e la professionalità del suo lavoro è arrivare in luoghi da documentare dove non tutti sono disposti o hanno la possibilità di andare. Documentare, anche, quello che gli altri vogliono soltanto vedere, ma non vivere. L’idea con cui sono partito per l’Afghanistan era questa. E poi, soprattutto, raccontare un periodo molto particolare, quello del Natale, e cercare di capire come viene vissuto a distanza da migliaia di italiani. Noi pensiamo che sono militari, ma prima di tutto sono ragazzi, uomini. E italiani. Persone che – scelta condivisibile o meno, ma non sta a me entrare nel merito di questo tipo di polemiche – hanno comunque scelto di stare distanti da casa, dalle famiglie, dalle mogli, dalle fidanzate e, molti, dai figli.

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